.. Yoga Esperienziale - Metodo Dr Bhole
PRIMUM NON NOCERE
CONDURRE LA PRATICA IN SICUREZZA
(Materiale tratto dell’articolo del Dott. G. Goldoni pubblicato sulla rivista Percorsi Yoga della Associazione Nazionale Insegnanti Yoga, gennaio 2018)
INTRODUZIONE
Nelle banche dati biomediche si trovano innumerevoli studi sui benefici dello yoga ma anche un crescente numero di studi sugli eventi avversi di lieve, media o elevata gravità provocati dallo yoga. Uno studio biomedico riporta che negli USA tra il 2001 e il 2014 il numero di infortuni relativi allo yoga registrati nei reparti di emergenza degli ospedali è complessivamente aumentato: ci sono stati 29.590 casi.
In una systematic review di 9 articoli con un un totale di 9129 praticanti yoga, la proporzione di incidenza di eventi avversi durante una lezione di yoga è stata del 22,7%. Eventi avversi gravi si sono verificati nell'1,9%. Gli eventi avversi più comuni sono legati al sistema muscolo-scheletrico quali distorsioni e stiramenti. Rispetto al gruppo di non-praticanti, i professionisti dello yoga hanno un rischio più elevato di lesioni meniscali. Un articolo del 2018 cita di 9 casi di fratture vertebrali avvenute a seguito della pratica yoga.
Le richieste degli allievi
Nei mie corsi si presentano persone con varie richieste: “Lo yoga può aiutare a rilassarmi, a ricentrarmi, a diminuire l’accumulo di stress?” Spesso mi chiedono se lo yoga possa migliorare alcuni disturbi legati alla tensione muscolare come lombalgia, sciatalgia, dolori cervicali, fibromialgia o disturbi legati allo stress psico-fisico come ansia, insonnia, disturbi dell’umore, respiro alterato con sensazioni di “fame d’aria”.
La tendenza a praticare yoga anche da parte di persone non in salute ottimale e la conseguente necessità di particolari accortezze nell’insegnamento è sottolineata nella letteratura biomedica. Gli autori di un sondaggio giapponese su larga scala hanno evidenziato che circa il 27,8% dei 2508 partecipanti alle lezioni yoga esaminate aveva riportato, dopo una lezione, dei sintomi indesiderati, i più comuni erano muscolo scheletrici, come la mialgia (dolori muscolari), seguiti da disturbi neurologici e respiratori. Il 53,5% dei partecipanti alle lezioni soffriva di disturbi cronici ed esaminando gli eventi avversi e le loro cause gli studiosi hanno suggerito che un'attenzione speciale e insegnanti qualificati sono necessari quando lo yoga viene insegnato a persone con malattie croniche, o stressate o anziane.
L’ampia diffusione dello yoga e delle ricerche biomediche credo ci porterà come professionisti a interloquire e dover spiegare in modo dettagliato su quali linee guida si fonda il nostro insegnamento.
Può essere un obiettivo valido e condivisibile il detto latino “primum non nocere”, per prima cosa non nuocere, non creare danni?
LE PRIME INSIDIE
Libri e film mostrano asana difficili, eseguite in modo impeccabile da giovani modelle estremamente flessibili. Raggiungere quelle posizioni ideali può diventare un obiettivo per chi segue un certo tipo di yoga ‘moderno’, sportivo e competitivo.
I principianti di yoga ma anche gli insegnanti che vogliono raggiungere le posture “ideali” a tutti costi, rischiano col loro atteggiamento mentale basato sullo sforzo di creare il presupposto per quegli effetti avversi che la scienza medica sta registrando.
Voler sedersi a tutti costi in padmasana, anche se si ha una struttura fisica non adatta dal punto di vista biomeccanico, rischia di danneggiare i legamenti del ginocchio e i menischi. Praticando con sforzo posture come pashimottana o torsioni si possono avere compressioni dei dischi intervertebrali, protrusioni, ernie e infiammazioni al nervo sciatico. Se si interpreta il termine kumbhaka come “trattenere il respiro forzatamente” si può generare tachicardia, aumento della pressione e fibrillazioni.
CONSIGLI E LINEE GUIDA
Quali linee guida di intervento predisporre quindi, quali strategie mettere in atto per crescere come professionisti dello yoga, ottenere buoni risultati e tutelarci evitando di creare danni ai clienti?
Nel testo a seguire tenterò di condividere qualche riflessione su questo tema proveniente dalla mia esperienza formativa e qualche pratica tratta dal testo “L’esperienza dello yoga. Il Metodo Bhole. Principi e pratiche dello yoga” sperando possa essere di qualche utilità e stimolo per il confronto tra noi colleghi. Collaboro dal 1992 con il Dr M.V. Bhole, medico fisiologo indiano che si è occupato per oltre trentacinque anni di ricerca medica applicata allo yoga, di Yoga Therapy e di come educare e trasmettere a livello esperienziale i concetti basilari dello yoga utilizzando sia il linguaggio tradizionale sanscrito che quello medico scientifico.
COME INIZIARE?
Nella pubblicità di una casa automobilistica si esaltavano gli innumerevoli sensori inseriti per dare stabilità e sicurezza, per gestire in modo intelligente la potenza e la forza che il motore trasmette a ciascuna delle quattro ruote. Lo slogan diceva “la forza senza controllo non è nulla”. Vale anche per la pratica. La forza prodotta dalla contrazione dei muscoli genera pressioni molto intense a carico di varie strutture come tendini, menischi, legamenti, dischi intervertebrali ecc. Imparare a utilizzare il corpo col minor sforzo possibile, attivando gli interocettori, i recettori interni che ci informano di cosa sta accadendo all’interno, è una condizione essenziale per evitare di farsi male durante la pratica di asana.
Come esperti di yoga è utile però ricordarci che lo yoga tradizionale è un sistema indipendente dalle scienze moderne e propone nella letteratura yogica di riferimento linee guida precise su come impostare la pratica evitando effetti indesiderati, attivando “i sensori di controllo” (enterocettori) e mantenendo l’atteggiamento mentale più idoneo. Descriverò alcune pratiche con le relative linee guida.
PRATICHE PROPEDEUTICHE ED EDUCAZIONE AL SENTIRE
Prima di assumere posture complesse, rischiando di farsi male, è bene riattivare i recettori propriocettivi del corpo e quelli cinestesici relativi al movimento respiratorio naturale. praticando ed educando l’attivarsi di queste esperienza con una specifica didattica. quattro posture di base ( supini, proni, coricati sul lato destro e sinistro)
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Nell’approccio allo yoga proposto dal Dr. Bhole la persona viene educata a comprendere la differenza tra movimento del ‘corpo orientato al fare’ e movimento ‘orientato al sentire’. Questa seconda modalità permette di attivare le percezioni cinestesiche provenienti da muscoli, articolazioni e tendini.
Queste pratiche, benché molto semplici, ci inducono a riconoscere la differenza tra due modi di comportarci (atteggiamenti o ruoli interiori). Il primo, caratterizzato dal fare un’azione volontariamente, ci permette di sperimentare l’atteggiamento del “fare" (karta). Il secondo ci guida a sperimentare l’atteggiamento di colui che osserva (drasta) o del testimone (sakshi).
Applicando queste modalità a movimenti o sequenze più complesse, oltre a seguire il principio “primum non nocere” grazie all’attivazione dei sensori dovuti all’atteggiamento dell’osservatore, comprenderemo attraverso l’esperienza diretta, pratyaksha alcune sostanziali differenze tra l’esercizio fisico e l’approccio yogico.
L’approccio yogico
La contrazione dei muscoli avvicina la distanza fra due punti causando così il movimento di una determinata parte del corpo.
In questo processo, il gruppo di muscoli opposto (antagonisti) a quelli che si contraggono (agonisti) viene messo in allungamento e il suo rilassamento facilita una più efficiente contrazione muscolare migliorando il movimento finale. I muscoli antagonisti a volte non si rilassano adeguatamente, oppongono resistenza alla libertà del movimento e creano un aumento di tensione nei muscoli che si contraggono (agonisti).
Per eseguire il movimento che ci interessa e poter vincere la resistenza del gruppo dei muscoli antagonisti, la nostra attenzione viene automaticamente portata sui muscoli che si contraggono (agonisti) e sulla tensione che si accumula attraverso la loro contrazione. Lavorare contro resistenza aiuta a sviluppare la muscolatura del corpo; tuttavia, oltre ad essere un fattore di rischio provoca nei muscoli un livello di tensione residua che mantiene la coscienza legata al corpo fisico.
Uno degli obiettivi della pratica yoga è quello di trascendere la coscienza del corpo e aprire i diversi canali di vāyu e di prāna.
Per questo motivo si utilizzano le posture (āsana) e non gli esercizi (vyayama). Āsana dovrebbe dare luogo a un senso di stabilità (sthira), piacevolezza (sukha), assenza di sforzo (prayatna-shaithilya) e dovrebbe lasciar viaggiare la coscienza verso l’infinito (ananta-samapatti). Questo stato può essere raggiunto soltanto quando i muscoli del corpo sono in una condizione sufficientemente rilassata.
I muscoli si rilassano attraverso un allungamento (stretching) lento e passivo, come accade ad esempio durante un massaggio o durante certi movimenti in acqua. Anche nelle āsana lavoriamo con l’allungamento passivo, sviluppando un senso di ‘abbandono dello sforzo’ e orientando l’attenzione sulle aree del corpo che manifestano apertura e allungamento piuttosto che chiusura.
LINEE GUIDA METODO BHOLE PER CONDURRE LA PRATICA IN SICUREZZA
L’importanza del linguaggio nel guidare la pratica
In qualunque posizione ci troviamo, possiamo dirigere la consapevolezza del corpo (e della mente) sul lato chiuso e compresso (flessione) oppure sul lato aperto e in allungamento passivo (area dell’allungamento o dell’apertura).
In yoga lavoriamo per lo più con l’apertura e l’allungamento di diverse aree corporee, al fine di attivare particolari esperienze interiori definite “apertura dei fiori di loto e dei chakra”.
Portare l’attenzione sul fatto di flettersi (piegarsi) o di allungarsi, mentre siamo nella stessa posizione, andrà a stimolare diversi aree del cervello, e conseguentemente creerà differenti stati di coscienza.
Prendiamo come esempio pashimottanāsana, il nome ci fa capire che si tratta di una postura (āsana) di allungamento (tanam) del lato posteriore (pashima), piuttosto che di flessione in avanti. Il principiante, per poter imparare ad allungare e ad aprire il lato posteriore del corpo, invece di contrarre il lato anteriore, dovrebbe ricevere delle istruzioni corrette. Se si segue l’istruzione di “flettersi o piegarsi in avanti”, porterà l’attenzione sul lato anteriore del corpo, (canale pranico di pūrva mārga) e continuerà a mantenerla su quella parte del corpo finché non verrà guidato a portarla e a mantenerla lungo il dorso (canale pranico di pashima mārga).
Se restiamo uniti o connessi con il lato posteriore del corpo, prima o poi il lato anteriore comincerà a rilassarsi e ci sarà un maggior flusso di sensazioni provenienti dal lato posteriore. Il risultato della pratica di pashimottanāsana dovrebbe essere che un certo tipo di vāyu chiamato pavana, inizi a scorrere lungo il percorso posteriore.
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“Le esperienze che hai mentre sei nella postura (asana) determinano la qualità della tua pratica. Le asana non sono un obiettivo da raggiungere ma uno strumento per accedere alla mente e alla coscienza”
Dott. Giuseppe Goldoni
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Articoli citati:
https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/27896293
https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/28958637
https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/29687967
Eventi avversi dello Yoga
Condurre la pratica in sicurezza
08 febbraio 2019 13:22
Giuseppe Goldoni - San Felice sul Panaro (Mo) - info@yogaesperienziale.com
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